La Prossemica nel Canto e sul Palcoscenico
- Angelo Fernando Galeano
- 26 mag 2019
- Tempo di lettura: 5 min
La Prossemica è la disciplina che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all'interno di una comunicazione, sia verbale che non verbale.
ll termine è stato introdotto e coniato dall'antropologo Edward T. Hall nel 1963 per indicare lo studio delle relazioni di vicinanza nella comunicazione. Hall ha osservato che la distanza tra le persone è correlata con la distanza fisica, ha definito e misurato quindi quattro “zone” interpersonali:
La distanza intima (0-45 cm).
La distanza personale (45-120 cm) per l'interazione tra amici.
La distanza sociale (1,2-3,5 metri) per la comunicazione tra conoscenti o il rapporto insegnante-allievo.
La distanza pubblica (oltre i 3,5 metri) per le pubbliche relazioni.

Nel libro The Hidden Dimension, Edward Hall osservò che la distanza alla quale ci si sente a proprio agio con le altre persone vicine dipende dalla propria cultura: i sauditi, i norvegesi, gli italiani e i giapponesi hanno infatti diverse concezioni di vicinanza.
Gli arabi preferiscono stare molto vicini tra loro, quasi gomito a gomito, gli europei e gli asiatici si tengono invece fuori dal raggio di azione del braccio. In alcune regioni meridionali dell’India, dove la distanza che gli appartenenti alle diverse caste devono mantenere fra di loro è rigidamente stabilita, quando gli individui della casta più bassa (paria) incontrano i bramini, la casta più elevata, debbono tenersi a una distanza di 39 metri.
Altra differenza è quella tra i sessi, i maschi si trovano più a loro agio a lato di una persona, invece le femmine di fronte.
Particolare rilevanza ha acquistato anche la prossemica dell'ascensore: ad esempio gli europei in ascensore si pongono a cerchio con la schiena appoggiata alle pareti, mentre gli americani si pongono in fila con la faccia rivolta alla porta.
Interessante è pure la prossemica degli ecclesiastici, che chiamando “figli” le persone che incontrano, accorciano la distanza relazionale e, di conseguenza, quella spaziale.

La conoscenza dell'esistenza della sfera prossemica è utile nel canto (ma se ne può fare anche a meno, sia chiaro, è solo una conoscenza in più per chi insegna, più marginale per chi studia) nel momento in cui si canta gomito a gomito con qualcuno, ad esempio in un coro.
In una situazione di disagio o di ingombro della nostra zona di sicurezza, del diametro all'incirca della nostra apertura di braccia, tendiamo per istinto e senza rendercene conto a modificare i nostri comportamenti abituali, ad esempio la prima cosa che ne risente è l'ampiezza, naturalezza e elasticità del movimento respiratorio che si riduce immediatamente, se non facciamo attenzione a quello che accade e imponiamo a noi stessi di mantenere lo stesso movimento che pratichiamo quando cantiamo da soli. E’ uno dei tanti motivi per cui il cantare in coro spesso è stancante per un artista abituato a cantare da solo.
Stessa cosa quando un artista tenta di cantare ‘a voce spiegata’ in uno spazio angusto o ad esempio, appiccicato al pianoforte per insicurezza, anche in quel caso il movimento respiratorio diventerà immediatamente più faticoso e ridotto rispetto al cantare o allenarsi in uno spazio aperto e senza ingombri nel raggio di un metro.
Nella classificazione di Hall non compare la distanza fra artista e pubblico, anche’essa fondamentale per la serenità dell’esecuzione del cantante, che trae sicurezza dalla lontananza del pubblico o ne subisce una presenza troppo invasiva se ravvicinata.
La distanza maggiore che dovrebbe essere inserita nella classificazione di Hall e quella fra artista e commissione esaminatrice o di audizione. In questo caso la distanza minima dovrebbe essere di almeno 10 metri...
In fase di performance l’artista esperto tende, inconsciamente, ad ampliare il più possibile la sua sfera prossemica in modo da inglobare il pubblico nella sua safe zone, ed è quello il momento magico in cui l’artista riesce a coinvolgere emotivamente il pubblico e a relazionarsi a lui senza azioni di chiusura. E’ il caso dei rocker più disinibiti che avendo inglobato il pubblico nella safe zone ne sono talmente in sintonia e prossimità da avere la fiducia assoluta di lanciarsi nel vuoto certi di essere sorretti dalla massa. E’ molto pericoloso lanciarsi prima di almeno un’ora di concerto e prima di aver stabilito col pubblico un legame di prossimità stretto, perché anche il pubblico deve avere il tempo di assorbire l’energia del cantante e inserirlo (sempre inconsapevolmente) nella sua sfera prossemica, altrimenti l’arrivo del corpo in volo sarà percepito come un pericolo con l’inevitabile reazione di scansarsi e lasciarlo cadere per terra. E’ ovvio che alla base di questa dinamica e perché si realizzi e crei, dev’esserci un sentimento di simpatia del pubblico verso l’artista.
Il Microfono: intruso o estensione della sfera prossemica?
Un'ulteriore riflessione merita il rapporto tra l'artista e il microfono. Questo oggetto, pur essendo uno strumento essenziale, può rivelarsi un vero e proprio intruso nella sfera prossemica del cantante, specialmente per gli artisti più emotivi o inesperti, diventando più un nemico che un alleato.
L'invasione prossemica a livello del viso è la più potente e difficile da controllare, paragonabile all'impatto di un bacio inatteso. Quando un microfono viene avvicinato al viso di un principiante, la prima reazione è l'immediato azzeramento di tutte le attività fisiche motorie dal collo in giù, inclusa la respirazione. Si manifesta la tendenza a "cantare per il microfono", una modalità inconscia in cui il cantante, convinto che il microfono amplifichi i suoni, sussurra e canticchia mentalmente in direzione dello strumento.
L'artista più esperto, invece, avendo già assimilato il microfono nella propria sfera prossemica, comprende che esso serve a veicolare il suono altrove, non ad amplificarlo. Questo gli consente di cantare "a voce spiegata" per il pubblico e verso il pubblico, e non per il microfono e verso il microfono. Questo processo di interiorizzazione e gestione dello strumento come un'estensione del proprio corpo è un esempio lampante di come la consapevolezza prossemica influenzi direttamente la tecnica e l'efficacia performativa.
La Prossemica in studio di registrazione: un ambiente unico
La stessa dinamica di gestione dello spazio personale e dell'interazione con gli "intrusi" si ripropone con forza nello studio di registrazione, un ambiente che presenta sfide prossemiche uniche per il cantante.
A differenza del palco, dove l'artista proietta la propria energia verso un pubblico visibile, nello studio il cantante si trova spesso in una cabina insonorizzata, isolato dagli altri musicisti e tecnici. Questa condizione può creare una sensazione di estraniamento e di "vuoto prossemico", amplificando l'attenzione su se stessi e sull'atto di emissione vocale.
In questo contesto, il microfono diventa un punto focale ancora più invasivo. Non è solo un oggetto che si avvicina al viso, ma l'unico punto di contatto con l'esterno, il "canale" attraverso cui la voce viene catturata. Per un cantante inesperto, questa vicinanza può tradursi in una ulteriore contrazione della sfera prossemica, limitando la libertà di movimento del corpo e la naturalezza della respirazione, come se il suono dovesse essere "consegnato" direttamente al microfono e non proiettato.
L'isolamento acustico, pur necessario per una registrazione pulita, può privare il cantante del feedback uditivo e spaziale a cui è abituato, soprattutto se proviene da esibizioni dal vivo. La percezione del proprio corpo nello spazio e la risonanza della propria voce nell'ambiente vengono alterate, richiedendo al cantante una maggiore consapevolezza propriocettiva e un controllo interno della propria prossemica. L'artista deve imparare a "sentire" lo spazio che occupa, anche se non lo vede o non ne percepisce l'acustica naturale, per evitare che la tensione si traduca in rigidità muscolare e vocale.
Un professionista scafato, invece, è in grado di ricreare mentalmente la propria "safe zone" anche in un ambiente così controllato. Sa che il microfono in studio non è un amplificatore del volume, ma uno strumento di "cattura" del suono. La sua performance non è "per il microfono", ma attraverso il microfono, proiettando mentalmente la voce verso un ascoltatore ideale o verso il risultato finale desiderato. Questa capacità di trascendere le limitazioni fisiche dello studio e di mantenere un senso di fluidità Prossemica è cruciale per registrazioni vocali di alta qualità.
In definitiva, sia sul palco che in studio, la Prossemica gioca un ruolo silenzioso ma determinante nel plasmare la performance del cantante, influenzando non solo la relazione con l'ambiente e gli altri, ma anche la stessa fisiologia e libertà dell'emissione vocale.
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