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  • Immagine del redattoreAngelo Fernando Galeano

West Side Story, cronaca di un successo annunciato.

CON QUALCHE PICCOLA DELUSIONE...


Sono stato al cinema a vedere WSS. Premetto, l’ho visto nella versione interamente in lingua originale, sottotitolato.

Sapete già, credo, della mia avversione per il doppiaggio nei film musicali.

L’attesa durava da anni, da quando è stato annunciato il progetto. È una partitura che amo particolarmente, generata e non creata da uno dei più grandi genj musicali del ‘900, piena di bellezza e di insidie.


Il film è un capolavoro, restituisce tutta la bellezza, la poesia e la crudezza di New York negli anni ‘50, quella dell’integrazione difficile e delle differenze sociali e culturali, una città che ancora si apprestava a diventare il Melting Pot socio-culturale fucina della cultura pop dei decenni successivi per cui diventerà nota.


Ma WSS, prima di essere un meraviglioso spettacolo teatrale e uno splendido remake shakespeariano, è una difficile partitura. Il Cinema e il Teatro, come ho detto tante volte, sono due linguaggi diversi e complementari, come l’uovo e la gallina, simbiotici ma sostanzialmente diversi. Il Teatro è finzione pura, e non teme se stesso, né vive per la ricerca del verosimile a tutti i costi. Se ne frega. Il Cinema è sì finzione, ma, al contrario del Teatro, alla ricerca spasmodica del verosimile, per sua natura.


Per tale fine la versione cinematografica compie delle modifiche alla partitura che a teatro non sarebbero possibili: spostamenti di canzoni, tagli vari, aggiunte di musica non scritta da Bernstein, modifica delle liriche e del libretto, aggiunta di recitati inesistenti, aggiunta di personaggi inventati, soppressione di altri personaggi, modifica di attribuzione di canzoni che transitano da un personaggio ad un altro.


Posso dire quindi di non aver visto la versione cinematografica di West Side Story, ma un bellissimo film liberamente tratto da West Side Story. Non è una novità, è successo in Evita, è successo in Les Mis, e succede anche in questo caso.

L’audio è un mix di presa diretta e ripresa in studio, per meglio mantenere l’effetto verosimile, come ormai è uso fare per tutti i film musicali di un certo spessore, onde evitare anche che le scelte interpretative degli attori siano compiute mesi prima, in studio di registrazione, senza l’apparato scenico e le prove a supporto della prova attoriale.


Gli interpreti, come sempre in queste produzioni, sono di livelli differenti. Le parti di contorno sono eccezionali, spiccano su tutti Ariana De Bose (Anita), Mike Faist (Riff), David Alvarez (Bernardo), Ben Cook (Mouthpiece).


Il cameo di Rita Moreno, storica interprete di Anita nella prima versione cinematografica del 1961, che recita nella parte aggiunta per l’occasione della vedova di Doc, che nello spettacolo originale è vivo e vegeto, convince ma fino ad un certo punto. Il personaggio disegnato dall’attrice novantenne è splendido e dolcissimo. Purtroppo l’appropriazione della canzone “Somewhere”, originariamente del personaggio di Consuelo, non è così efficace. La Moreno non è una cantante, e la canzone, seppur resa con un pathos da grande professionista, risulta sminuita e un po’ rovinata.


I due protagonisti sono credibilissimi per età scenica, come il cinema richiede, e capacità attoriali. Dal punto di vista canoro Rachel Zegler (Maria) padroneggia con difficoltà lo stile, sull’onda della nuova moda americana di trasformare in Contemporary qualsiasi cosa non lo sia, ma la sua è comunque una prova dignitosa. Risulta leggermente meno a fuoco il Tony di Ansel Elgort. Vocalmente non è all’altezza del ruolo, ma riesce a risolverlo con piccole ingenuità, trucchetti da vocal coach di grido, scelte di linee vocali alternative, pur previste da Bernstein per questi casi, e falsetti tattici.


Come per ogni versione cinematografica, essendo il Cinema e il Teatro linguaggi diversi, anche vocalmente, sarebbe impensabile sentire WSS cantato così in teatro, ma nella versione cinematografica è comunque tollerabile, in funzione di quella ricerca ossessiva di verosimile di cui il grande schermo si nutre voracemente e che travolge ogni cosa che incontra.

A volte con risultati pessimi, a volte appena decorosi, a volte accettabili, come in questo caso.


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